Avv. Stefano Massimiliano Ghio
«Il rifiuto di vaccinarsi, configurandosi come esercizio della libertà di scelta del singolo individuo rispetto a un trattamento sanitario, ancorché fortemente raccomandato dalle autorità, non può costituire una ulteriore condizione a cui subordinare la tutela assicurativa dell’infortunato»
Questo è quanto affermato dalla Direzione Regionale della Liguria l’Inail sulla vicenda sollevata dal Policlinico San Martino di Genova ed alcuni infermieri che non avevano inteso usufruire della vaccinazione anti-covid.
L’Ente motiva il suo ragionamento ricordando che anche il comportamento colposo del lavoratore non può escludere la copertura assicurativa INAIL. Tale circostanza semmai ridurrebbe o escluderebbe la responsabilità datoriale facendo venire meno la sua responsabilità per il risarcimento del danno.
L’Inail esclude, per altro, che nel caso di rifiuto del vaccino si incorra neppure nel c.d. “rischio elettivo”, cioè quel “comportamento, contrario al buon senso, adottato dal lavoratore in conseguenza del quale si è verificato un infortunio sul lavoro”.
Due sono le considerazioni poste a fondamento dell’assunto dell’Inail. La prima riguarda la volontà del lavoratore che evidentemente non intende contrarre il virus pur negando. La seconda invece attiene alla necessità che la contrazione del virus sia riconducibile all’occasione di lavoro.
Fermo restando quanto sopra, comunque, il tema del rifiuto di vaccinarsi pone un problema sui requisiti del lavoratore a svolgere le sue mansioni visto quanto afferma la Cassazione penale (Sez. IV, 5 febbraio 1991, n.1170) “le misure di sicurezza vanno attuate dal datore di lavoro anche contro la volontà del lavoratore” e visti gli obblighi datoriale in tema di sicurezza sul lavoro.
Infatti il datore di lavoro è chiamato a porre in essere tutte le misure di sicurezza per garantire la tutela della salute dei propri lavoratori, oltre che degli eventuali terzi presenti nei luoghi di lavoro.
Ciò posto, fermo restando quanto previsto dall’art. 32 della Costituzione, cioè la libertà di rifiutare qualsiasi trattamento sanitario, per i lavoratori che sono esposti a maggior rischio, il datore di lavoro potrebbe applicare delle limitazioni al lavoro dovute alla mancata vaccinazione in ossequio al diritto dello “ius variandi” riconosciuto dall’art. 2103 c.c..
Nel caso, spetterà al medico competente formulare un giudizio d’idoneità alla mansione specifica con la limitazione di esclusione delle operazioni che possano comportare il contatto con l’agente biologico verso il quale il lavoratore non è immune. Infatti risiede nel medico competente l’obbligo di valutare se il rischio infettivo possa essere ridotto con misure di protezione alternative e di eguale efficacia del vaccino.
Il tema merita di essere approfondito ulteriormente.